Ristrutturazione aziendale come elemento prodromico alla cessione dell’azienda?
Dopo il successo delle precedenti interviste sul ruolo del manager nelle acquisizioni societarie e sul processo di integrazione post-acquisizione, oggi vi voglio proporre l’esperienza del Dott. Paolo Castelli, navigato general manager nell’ambito di aziende multinazionali e PMI, nonchè industry expert di Arkios Italy SpA.
Con lui l’Avvocato Bellini sta collaborando su alcuni dossier di “turnaround”.
Ci racconti un po’ la sua storia professionale…
Nella mia vota professionale mi sono occupato di molte cose , spesso assai diverse, riconducibili tuttavia alla missione di manager industriale.
Ho iniziato la mia attività nell’area delle Risorse Umane, occupandomi soprattutto di relazioni industriali.
In tale ambito, in seguito alla realizzazione da parte mia di un complesso intervento di ristrutturazione aziendale in una realtà multinazionale, ho avuto l’opportunità di assumere ruoli professionali differenti, prima come Direttore Operations, poi Direttore di Divisione e quindi di Direttore Generale.
Dopo questo ho rilevato e gestito per alcuni anni un’azienda industriale di medie dimensioni.
Successivamente ho assunto ancora responsabilità di general manager nel contesto di progetto speciali.
Da qualche anno, infine, mi occupo di operazioni straordinarie, essenzialmente M&A, collaborando con un Advisor specializzato, Arkios Italy SpA, in qualità di Industry Expert.
Quest’ultimo titolo, per concludere, credo che riassuma bene quello che sono professionalmente, ovvero qualcuno che in ambito industriale ha conosciuto realtà differenti e fatto tante cose, alcune anche di rilievo, maturando un’esperienza oggettivamente utile per valutare le differenti situazioni e per prendere decisioni efficaci.
In quale circostanza è arrivata l’occasione di occuparsi di Turnaround management?
Molto importante per me è stata prima di tutto l’esperienza degli interventi di ristrutturazione aziendale cui accennavo in precedenza, caratterizzati da grande autonomia personale da un lato e da forte pressione sul risultato, e limitatezza di risorse dall’altro.
Decisivo è stato tuttavia il passaggio da manager di una multinazionale a gestore, e titolare di una realtà indipendente, con un cambio completo di prospettiva.
Perchè questa esperienza è stata così importante?
Nelle multinazionali, infatti, in estrema sintesi, le risorse, si può dire che ci siano sempre; la difficoltà consiste nel riuscire a farsele assegnare.
Le decisioni, inoltre, sono frutto di un complesso procedimento di comunicazione/autorizzazione e spesso di condivisione.
In una PMI indipendente, invece, i limiti delle risorse sono oggettivi, ed il rapporto con gli interlocutori professionali , ad esempio le banche, è ben più impegnativo e determinante.
Soprattutto, radialmente diversa è la presa delle decisioni, per la quale si apprezza la grande libertà, ma si prova l’esperienza del peso della responsabilità e della solitudine del comando.
Ci può dire quali sono state le principali sfide che ha trovato nell’ambito delle operazioni di ristrutturazione aziendale di cui si è occupato?
La prima criticità è consistita, e credo sia cosi i tutti i casi, nella necessità di conseguire rapidamente una visione sufficientemente completa della situazione sulla base di informazioni limitate, per elaborare una strategia d’intervento semplice ed efficace.
Fondamentale è, sempre, una rapida valutazione delle risorse disponibili, soprattutto degli uomini, dal cui coinvolgimento dipende in massima parte, a mio avviso, il successo dell’operazione.
Devo dire che per queste cose l’esperienza dà un grande aiuto.
Oltre a ciò, un fattore critico è rappresentato, sempre, dalla capacità di prendere delle decisioni, in un quadro di grande incertezza, e di perseguirle efficacemente, non con rigidità, ma con determinazione.
Bisogna metterci, insomma, testa, ma soprattutto cuore.
Secondo Lei per quale ragione gli Imprenditori faticano così tanto a chiedere un aiuto all’esterno?
Per ragioni perfettamente comprensibili, di ordine sia pratico che psicologico.
E’ necessario tenere presente che la maggior parte delle realtà imprenditoriali italiane ha come asset principale un know-how tecnologico di nicchia, a volte a livello di eccellenza mondiale, in base al quale opera sostanzialmente come subfornitore di realtà più strutturate, spesso multinazionali.
Il mercato di riferimento è rappresentato quindi da un numero limitato di interlocutori, sostanzialmente stabile.
Se si cresce, si cresce seguendo loro.
Si tratta, in sintesi, di un mondo di “addetti ai lavori” molto più chiuso di quanto non si pensi, in cui le soluzioni ai problemi si trovano soprattutto all’interno del sistema, attraverso approfondimento e sperimentazione, piuttosto che all’esterno, con l’apertura ad altri mondi.
Aggiungo che spesso il rapporto con gli interlocutori non è paritario, essendo essenzialmente dall’alto al basso con i collaboratori ed in senso opposto con i clienti, pochi e considerati decisivi, e questo non stimola certo l’apertura a contributi innovativi.
Sul piano psicologico, l’abitudine a decidere sostanzialmente da soli, normalmente con riscontri positivi, in un quadro come quello di cui ho detto, non spinge a mettersi in discussione ed a cercare aiuto da parte di altri.
Quanto conta il rapporto con le banche nella risoluzione delle crisi aziendali?
Il ruolo delle banche è sempre fondamentale.
L’importante è tuttavia non riporre nel loro intervento aspettative non ragionevoli.
Un corretto rapporto con questo mondo [quello delle banche ndr] a mio avviso non può prescindere da un progetto imprenditoriale solido ed argomentato.
Se forse nel passato la presenza di garanzie consistenti permetteva il sostegno ad iniziative non perfettamente focalizzate, oggi questo non è più possibile.
La banca è un potente interlocutore professionale, che deve essere gestito professionalmente.
Vista la sua esperienza in materia di relazioni industriali, immagino che per lei assuma un particolare rilievo anche il rapporto con dipendenti e collaboratori…
Credo che la corretta valorizzazione delle risorse umane, i termini di organizzazione, gestione e motivazione, sia il vero attore determinante per la riuscita degli interventi di ristrutturazione aziendale.
Sostengo questo sulla base delle esperienze, per le quali i successi, come pure le mancate realizzazioni sono dipesi largamente dalla gestione di questa leva manageriale.
Aggiungo che delegare è la chiave del successo.
Personalmente non ho mai dovuto pentirmi della fiducia accordata alla persone che hanno lavorato con me, che, devo dire, mi sono sempre sforzato di ascoltare.
Spesso poi la ristrutturazione aziendale ha la finalità di arrivare alla cessione dell’Azienda stessa. Come vede il rapporto Imprenditori / Private equity? I capitani d’industria hanno sempre una certa diffidenza…
La diffidenza esiste, ed è motivata comprensibilmente, oltre alla criticità della tematica, da una certa differenza tra i modi di pensare caratteristici dei due ambienti.
Infatti, al di là di tutti i suoi limiti, l’impresa familiare italiana ha come punto d’eccellenza la visione, capacità di credere in quello che fa anche al di là dei numeri e di perseguire la propria missione nel tempo, mentre le logiche del Private Equity sono piuttosto rivolte a valutare gli investimenti in una prospettiva temporale più breve, con un approccio neutro verso le differenza tra i vari settori industriali e più attento alla ricerca di nuove opportunità.
Resta il fatto che il Private Equity rappresenta oggi una grande opportunità per l’impresa italiana, come testimoniato dai numeri crescenti delle operazioni, e che sta all’intelligenza ed alla capacità dei professionisti cogliere al meglio quest’occasione offrendo alle imprese le soluzioni giuste per le loro necessità.
A suo giudizio perché un investitore dovrebbe privilegiare le aziende che sono state oggetto di una ristrutturazione aziendale?
Fondamentalmente per la chiarezza della situazione post ristrutturazione.
Le aziende in difficoltà presentano delle interessanti opportunità, spesso tuttavia in un quadro di confusione ed incertezza sui numeri e soprattutto sulle prospettive, per cui è oggettivamente difficile fare valutazioni accurate sul ritorno dell’investimento ipotizzato.
Un ulteriore vantaggio è poi costituito per le aziende ristrutturate dalla disponibilità di un management competente ed efficace che, dopo avere gestito l’intervento di turnaround, possa accompagnare il progetto di rilancio legato al nuovo investimento.
Quali sono le sfide e le opportunità che vede per chi opera nel Turnaround management nei prossimi anni?
Sono convinto che per chi si occupa di queste cose le prospettive siano molto interessanti.
In particolare, cresce la consapevolezza da parte degli imprenditori del fatto che una reale via d’uscita dalle situazioni di crisi, soprattutto se comporta la richiesta di nuova finanza al sistema bancario o ad altri investitori, non può prescindere da un piano d’intervento serio e professionale.
Le recenti innovazioni nel quadro della normativa sulle crisi aziendali, con l’introduzione di nuovi strumenti, potenzialmente assai efficaci ma non semplici da utilizzare, rappresentano un’altra significativa opportunità.
A fronte di questi elementi positivi c’è in primo luogo la necessità di costruire un know-how professionale adatto alle nuove complessità e, secondo me, o di sviluppare un modo diverso di progettare gli interventi, che non sia diretto solo agli aspetti interni dell’azienda, ma che investa i diversi elementi del network in cui si inserisce, per evitare di perseguire soluzioni soltanto parziali o di breve periodo.
Che consiglio si sente di dare agli Imprenditori che, vedendo che le cose vanno male, pensano di cedere l’Azienda?
Cedere l’Azienda può essere una buona soluzione, quando, fatte le giuste riflessioni, si ritenga di non disporre delle forze necessarie per affrontare la crisi.
La cosa peggiore in questi casi è infatti perdere tempo prezioso, confidando nella speranza di qualche affare straordinario che possa riequilibrare la situazione.
E’ necessario tuttavia tenere presente che le aziende che si vendono con soddisfazione sono solo quelle che vanno bene, mentre quelle che hanno problemi interessano solo ad operatori che siano pronti a farsi carico dei problemi, pagando però un corrispettivo giustamente ridotto.
Per questo suggerisco agli imprenditori che si trovino in questa situazione di valutare seriamente, possibilmente con l’assistenza di professionisti qualificati, la convenienza di intraprendere un piano di intervento di ristrutturazione aziendale che metta sotto controllo la situazione, evitando possibili effetti distruttivi e che attraverso un percorso mirato possa riportare l’azienda a creare valore, e finalmente a tornare ad essere interessante per possibili investitori.
Grazie mille della disponibilità, una analisi davvero ricca e piena di spunti!
Grazie a Lei ed ai lettori dell’Avvocato del Business per l’opportunità.
Il team dell’Avvocato del Business
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